Benvenuti a Valbona
Più che un castello con la sua corte, questo è un fortilizio atto ad ospitare una guarnigione di dieci o dodici armati: quattro cavalieri,
otto fanti con un capitano ed un certo numero di “famigli” (servitori) per il normale funzionamento della struttura. Un fortilizio è sempre
situato a presidio di un luogo strategico ed è dipendente da un castello, nel nostro caso quello di Lozzo, ora trasformato in villa
Lando Correr.
Gli scavi sotto la torre di nord-est hanno fatto emergere reperti di vasellame di epoca tardo romana che saranno esposti in Sala Cavalieri in
un prossimo futuro. Sorto dunque su insediamenti precedenti, è menzionato come operativo nel Codice Capodilista del 1258, seppure è in
quegli anni che viene fortemente rimaneggiato ed assume l’aspetto attuale, pronto a svolgere un ruolo importante nelle lotte che si
preparavano fra Scaligeri (Verona) e Carraresi (Padova), dopo le efferate scorribande di Ezzelino III da Romano.
Ha forma trapezoidale, con lati di metri 25 x 40 x 9. Le mura hanno altezza di metri 9 e spessore di metri 1 alla base e 0,50 in sommità. È
irrobustito da sei torri, quattro esagonali agli angoli e due quadrate in prossimità delle due porte principali. Tutte le torri sono alte metri
11 ed al centro svetta il mastio che supera di poco i metri 22.
Assaggi del materiale di costruzione condotti dall’Università di Padova hanno confermato che l’edificazione risale al XIII secolo.
Da notare la forma esagonale delle torri angolari, assai rara perché costosa, ma che irrobustisce significativamente la struttura, smussando
i colpi e consentendo la difesa da più lati.
Da osservare i due anelli di ferro che sovrastano ogni finestra con arco a tutto tondo: si tratta dei cardini di porte di legno che venivano
aperte come in un vascello cannoniera per scoccare le frecce, scagliare altri proiettili ed essere poi richiuse rapidamente dalla stessa forza
di gravità.
Osservate le grondaie in trachite sopra le grandi porte: opportunamente angolate, servivano a versare sugli assalitori olio bollente che, con il
vento della velocità, si ossigenava e prendeva fuoco. Per risposta, delle palle di pietra che vediamo nel parco, quelle piccole erano
scagliate con catapulta, mentre quelle grandi venivano issate su di un binario costituito da due tronchi a circa cento metri di distanza, poi
il binario era inclinato verso il maniero per consentire il rotolamento della grande pietra a sfondamento del portone.
Varchiamo il portone ed entriamo.
È un corridoio lungo con alle estremità i due grandi portoni e, a fianco, due porte più piccole per i pedoni. Sulle pareti laterali vi sono due
aperture, una verso la sala delle armi, l’altra che conduce alla corte interna.
Come si intuisce, la strada che oggi devia, una volta attraversava il maniero e proprio quest’ambiente che mantiene nel pavimento il lastricato
carrabile e pedonale, per cui tutti i viandanti erano costretti a passare di qua, essere controllati e, eventualmente, tassati su quello che
portavano con sé: altre strade non c’erano in questo territorio acquitrinoso, le cui ultime bonifiche risalgono al 1920.
Da notare le corsie delle grandi grate metalliche subito dopo le porte.
Osservate le porte pedonali: sono una sul lato opposto all’altra. In questo modo, chi forzava il blocco non poteva correre rasente al muro,
ma doveva per forza attraversare ed esporsi ai colpi degli arcieri che stavano sui camminamenti a noi sovrastanti. Dobbiamo infatti immaginare
questa sala come un ambiente aperto e i panni con i colori della famiglia (oro su azzurro) nascondono oggi un soffitto con tamponamento in
materiale scadente, realizzato in epoca imprecisata.
Oltre le porte, sul lato ovest, vi sono ancora due ponti levatoi, uno carrabile ed uno pedonale. È verosimile che il maniero fosse
interamente circondato dal fossato, con doppi ponti anche sul lato est, ma non vi sono evidenze storiche in questo senso. All’opposto,
sappiamo che il canale sul lato ovest è stato scavato nel 1454 da Nicola, il primo conte, ed infatti si chiama ancora oggi “Canale Fracanzan”,
ed era destinato a scolare tutte le acque paludose nei feudi della famiglia, da Alonte, Orgiano, ad Agugliaro, fino a Este.
Vi è un progetto per il restauro dei ponti con possibilità di azionarne il meccanismo da parte dei visitatori.
I mobili chiari che vediamo posti lungo le pareti sono destinati ad ospitare i prodotti di case vitivinicole ed olivicole del comparto euganeo – berico.
La prima porta sulla sinistra della dogana conduce alla Sala delle Armi.
La Sala delle Armi era il luogo di stazionamento delle truppe, la cura delle armi e della ferratura, cioè il quartiere militare vero e proprio.
Si aveva pronto accesso alla dogana per intervenire quando necessario.
Si tratta di un ambiente assai ampio e particolarmente protetto dalle possenti mura e dalle torri che vi fanno rinforzo, smussando gli spigoli.
Da notare la profondità dell’incavo delle torri, visibile su quella di sud-ovest. Alla destra, vicino all’inizio della scala, si può notare una
piccola abside “a capanna”, forse un porta lampada, forse la sede di figura votiva.
Dalla scala, originariamente una rampa in legno, si accede alla Sala dei Cavalieri.
È l’ambiente più ampio dell’edificio, luogo di banchetti, riunioni e delle principali attività.
Ospita una mostra interattiva dal titolo
Dalla forza contro il vicino,
alla forza verso il territorio per un ambiente salubre e coltivabile.
realizzata da
Scaricate con il qr code l’applicativo Mirantibus e seguite la mostra che contiene tre percorsi: sul territorio ed il cibo, sulle armi e, poi,
una dedicata ai ragazzi sui personaggi legati al castello.
Le armi si possono provare, elmi e armature si possono indossare, anche per provare il peso che si raggiunge con tutto o parte
dell’equipaggiamento in battaglia.
Finita la mostra, scendiamo e torniamo nella vecchia dogana che percorriamo fino in fondo, trovando sulla destra una porta che conduce alla Corte interna.
Non siamo sul piano campagna, ma quattro metri sopra il canale: sotto di noi ci sono ancora due piani di ambienti, principalmente le vie d’acqua
e scolo che potete vedere sulla facciata ovest, guardando dall’esterno le grondaie in trachite ed indovinando l’altezza di questa corte,
considerando che siamo trenta centimetri sopra la base del portone e del ponte levatoio.
La corte contiene il pozzo, l’unico pozzo vero del maniero per l’approvvigionamento di acqua potabile. Nelle arcate lato ovest, prima del pozzo,
trovavano ricovero gli animali: due bovini in quello piccolo e quattro cavalli in quello più grande, con la mangiatoia agganciata alla parete
ed un canale di scolo delle deiezioni sul retro, dove oggi vediamo questi mattoni rossi posti in lungo.
Fieno e biada erano ricoverati sotto la tettoia e nel volto vicino al pozzo.
Nulla era addossato al mastio, per evitare che venisse incendiato in caso di attacco.
Galline e pollame vario si muovevano nell’aia, oggi lastricata, mentre le carte domestiche attestano anche la presenza di ovini e caprini.
Il tutto era funzionale al mantenimento della guarnigione.
Passiamo sotto la residenza attraverso un volto per entrare nella seconda corte.
Alla base della torre di nord ovest, nel punto più freddo e tetro del maniero, possiamo vedere le antiche prigioni, con tavolacci,
catene e cordami. Si tratta di una ricostruzione recente, ma assi verosimile. Sia l’archivio domestico, sia il Liber foeudorum
della Biblioteca Capitolare di Vicenza concordano nel menzionare gli incarcerati, i delitti loro addebitati ed anche le condanne capitali
eseguite in loco solito iustitiae, secondo una formula che si trova anche presso il Castello di Strassoldo di Sotto, a Cervignano, in Friuli.
Non sappiamo quale fosse il luogo cui si accenna, ma è da escludersi che fosse nella prigione, quanto piuttosto fuori, in uno spiazzo
esterno, dove potesse essere visto dalla comunità, secondo un effetto di general prevenzione collegato alla pena. Sappiamo che l’esecuzione
capitale avveniva per taglio della testa con un’accetta, mentre la spada era riservata ai nobili. Le condanne a morte non sono state più
eseguite a Valbona dopo il 1405, quando la giurisdizione dei crimini superiori è stata tolta ai feudatari o ai consigli nobili delle città
per essere attratta alla competenza della Serenissima Dominante, cioè Venezia.
Saliamo ora le uniche scale che collegano la parte inferiore a quella superiore, superiamo la residenza della famiglia (senza entrarvi!)
ed arriviamo agli spalti.
Salite le scale, svoltiamo a destra ed iniziamo il cammino di ronda in senso orario, entrando nella torre di nord ovest, quattro piani sopra le prigioni.
Possiamo capire la possanza delle mura, realizzate in pietra e cotto, per essere robuste ed elastiche al tempo stesso, a differenza dei castelli tedeschi,
dove l’urto sulla pietra si propaga, non viene attutito da materiale elastico, ma si trasmette per tutto l’edificio, indebolendo la struttura.
Notiamo la disposizione dei mattoni delle finestre “a cannoniera” ed i drenaggi per l’acqua (non ci sono grondaie, ma solo feritoie e gocciolatoi.
Proseguendo vediamo un’antica edicola, dove c’era un affresco di San Giorgio ed il drago, coperto e cancellato da un boiler di cui si stanno rimuovendo i tubi.
La loggetta coperta prosegue dopo l’angolo con la torre di nord-est, quindi la torre quadrata con la sua finestra ad arco e tracce di scala sulle pareti interne.
Giriamo ancora a destra per completare il percorso in senso orario e vediamo la terrazza che originariamente non c’era, dando accesso diretto sulla vecchia dogana.
Sbirciando nella porta di sinistra [che lasciamo aperta] intravediamo la torre di sud-ovest, che durante la Guerra di Cambrai era stata armata con quattro cannoni
puntati su via Frassanelle e vi Condotto, rispettivamente ad ovest e a sud, uniche vie di accesso da Vicenza e da Este.
Si può vedere anche l’interno della sala dei cavalieri.
ATTENZIONE: NON CI SONO PROTEZIONI.
Da notare che il tetto è stato palesemente sopraelevato, usando i merli come (finte) colonne di sostegno e creando finestre negli spazi.
Il tetto originario era più stretto a basso. La merlatura corretta è però questa: dritta, cioè ghibellina essendo la famiglia (ma anche i Carraresi)
filoimperiale; mentre la merlatura guelfa “a coda di rondine”, che vediamo sulle torri lato nord-est è un falso di epoca tardo romantica,
perché ritenuto più fascinoso.
Passiamo attraverso la seconda torre quadrata ed arriviamo di nuovo alle scale.
Prima di discendere le scale, sulla destra, si trova la porta del Mastio: l’accesso è stretto e occorre valutare la propria attitudine a visitarlo.
Vi è una prima sala azzurra ed oro con camino, dalla funzione poco chiara.
Quindi, attraverso una porta si sale per una stretta “scala armata”, cioè chiusa fra due pareti, che ci porta in una seconda sala azzurra ed
oro (i colori della famiglia), anch’essa con tracce di camino: questa era la sala del capitano da dove -prima che i tetti fossero rialzati-
si potevano sorvegliare i tre lati del maniero.
La stanza è destinata ad ospitare uno scrittoio e con i primi telegrafi a filo nella mostra che è in allestimento.
Salendo per una seconda scala armata arriviamo al posto di guardia. Sotto i tre archi c’erano i tavolacci per il riposo delle guardie:
uno è stato riprodotto ed è visibile. Salendo ancora per la scala in legno si arriva nell’ambiente più alto. Originariamente era scoperto,
come dimostrano le quattro grondaie che ci sono sul pavimento. Il tetto era un tronco di piramide, con botola, collocato sopra la balaustra
quadrata. Un esempio si può vedere nel mastio del Castello di Este.
Da notare le capriate in legno del tetto e la vista che consente l’individuazione di eventuali armati ostili fin da lunga distanza.
CAUTELA NELLA DISCESA!
Potete accomodarvi in corte o fuori e bere o mangiare qualcosa nella Taverna, il cui pavimento della prima saletta è molto antico.